Inversione di temperatura rilevata anche nell’esopianeta WASP-33b.
Crediti immagine: NASA/Goddard.

Tramite osservazioni condotte con il telescopio spaziale Hubble della NASA, è stata rilevata quella che può essere considerata come una vera e propria stratosfera su un pianeta extrasolare denominato WASP-33b, un pianeta gigante gassoso con una massa equivalente a circa quattro volte e mezzo quella di Giove. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Astrophysical Journal.
Secondo gli scienziati, gli strati molecolari individuati nell’atmosfera del esopianeta comprenderebbero molecole che riescono ad assorbire luce ultravioletta e luce visibile. Questo strato agirebbe come protezione dalla stella intorno alla quale lo stesso pianeta orbita, proprio come avviene con gli strati atmosferici della Terra che ci proteggono dal Sole.

Nella stratosfera terrestre avviene quella che è stata denominata “inversione di temperatura“: con l’aumentare dell’altitudine aumenta anche la temperatura, inversamente a quanto avviene nella troposfera, lo strato atmosferico che si trova al di sotto della stratosfera, che diventa più fredda ad altitudine più elevate.
Gli scienziati hanno scoperto che inversioni di temperature molto simili si verificano nelle stratosfere degli altri pianeti del sistema solare, come Saturno e Giove. Le ultime osservazioni con Hubble hanno però spinto a credere che anche le temperature dell’esopianeta WASP-33b subirebbero lo stesso effetto che si vede nella stratosfera terrestre. Nel caso del pianeta extrasolare, però, a causare l’inversione di temperatura sarebbe l’ossido di titanio.

L’ossido di titanio sarebbe uno dei pochi composti in grado di assorbire radiazioni visibili e all’ultravioletto restando al contempo in forma gassosa.
Comprendere i legami tra la stratosfera e la composizione chimica è fondamentale per lo studio dei processi atmosferici negli esopianeti. La nostra scoperta segna una svolta fondamentale in questa direzione”, ha dichiarato Nikku Madhusudhan, scienziato dell’Università di Cambridge ed uno dei coautori dello studio.

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