Una crepa di origine vulcanica nel cratere di Kipling, Mercurio. L’immagine a falsi colori sottostante mostra la presenza di materiali piroclastici (colore rossiccio-marrone).

Alcuni ricercatori della Brown University hanno reso pubblica una nuova analisi, disponibile su Journal of Geophysical Research: Planets, della superficie di Mercurio che dimostrerebbe un’antica attività vulcanica sul pianeta. Ulteriori studi in tale direzione potrebbero chiarire la nascita del pianeta più vicino al Sole.

Un’eventuale attività vulcanica su Mercurio ha sorpreso gli scienziati in quanto il pianeta era stato sempre ritenuto “asciutto”, ossia privo di quelle tracce di materiali volatili sulla superficie che potessero spiegare eventuali attività esplosive di origine vulcanica. Quando, a partire dal 2011, la sonda Messenger della NASA, in orbita intorno a Mercurio, ha trasmesso i primi dati, i ricercatori hanno compreso che sulla superficie del pianeta vi erano considerevoli depositi di cenere piroclastica che indicherebbero, inequivocabilmente, esplosioni vulcaniche.
I 51 siti piroclastici analizzati dal team guidato da Tim Goudge indicherebbero attività vulcaniche anche distanti fra loro nel tempo in quanto i fori di fuoriuscita di quello che potrebbe essere materiale lavico hanno dimensioni e i livelli di erosione differenti. Diversi livelli di erosione indicherebbero quindi una lunga attività vulcanica che avrebbe condizionato un periodo relativamente lungo della vita del pianeta.
Dato che La maggior parte di questi siti piroclastici si trovano all’interno di crateri da impatto, i ricercatori hanno analizzato le pareti e il fondale di tali crateri per datarne l’impatto così da capire anche l’età dei siti vulcanici, dato che questi dovevano essersi formati per forza di cose solo dopo l’impatto.

Tali studi potrebbero chiarire anche la formazione iniziale del pianeta. Mercurio ha un nucleo ferroso relativamente molto grande. Ciò è sempre stato spiegato con la teoria secondo la quale Mercurio fosse in passato molto più grande di quanto è adesso.
Il rimpicciolimento delle dimensioni sarebbe avvenuto a causa della rimozione degli strati esterni colpiti dal calore e dal vento solare oppure rimossi a causa dell’impatto con un altro grande corpo roccioso. Entrambi questi eventi avrebbero molto probabilmente rimosso queste quantità di elementi volatili dalla superficie del pianeta. Alla luce di questi nuovi dati, che mostrano tracce di elementi volatili sulla superficie, quali zolfo, potassio e sodio, questa ipotesi cominciano a diventare sempre più improbabili.

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