Tre nuove ricerche, apparse su Astrobiology Journal, dimostrano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che i rischi che batteri terrestri possano essere trasportati su altri pianeti o lune tramite missioni spaziali con o senza equipaggio umano resta ancora altissimo.
Trasportare forme viventi dalla Terra ad un pianeta come Marte, per esempio, significherebbe non essere più in grado di stimare l’eventuale presenza di forme di vita su tale pianeta in quanto non sarebbe più possibile discernere tra le forme di vita terrestri e quelle marziane.
Un rischio non da poco non solo per le attuali missioni che prevedono l’atterraggio sul pianeta rosso di lander ma anche per quelle missioni per le quali si progetta l’invio di esseri umani.
In tale contesto, diventa sempre più importante individuare tutti quei microrganismi capaci di sopravvivere in un veicolo spaziale per diversi giorni addirittura mesi. Secondo Kasthuri J. Venkateswaran, ricercatore presso il Biotechnology and Planetary Protection Group della NASA e uno dei coautori di tutti e tre gli studi, alcuni microbi risulterebbero più resistenti del previsto e potrebbero attuare meccanismi corporei atti ad aiutarli a sopravvivere anche in ambienti molto ostili quali quelli relativi a voli interplanetari all’interno di veicoli spaziali.
Diverse spore per esempio sono in grado di sopravvivere a vari tipi di sterilizzazione. Ad esempio, il Bacillus pumilus SAFR-032 ha ampiamente dimostrato di essere in grado di sopravvivere a trattamenti con il perossido di idrogeno o con raggi ultravioletti. Tali spore sono state in grado di sopravvivere in ambienti marziani simulati per oltre 30 minuti.
Vari test di più lunga durata con spore terrestri sono stati condotti anche sulla Stazione Spaziale Internazionale tramite l’utilizzo del modulo European Technology Exposure Facility (EuTEF).
Secondo Venkateswaran, alcune spore sarebbero sopravvissuti addirittura 18 mesi. Queste spore dimostravano un’alta resistenza alle radiazioni UV grazie ai maggiori concentrazioni di proteine. Il test, in particolare, dimostrerebbe che spore e atteri potrebbero essere in grado di sopravvivere anche in ambienti bombardati in maniera massiccia da radiazioni, che risulterebbero letali per qualsiasi altro essere vivente terrestre.
Altri tipi di spore, come il Bacillus subtilis 168 sono stati sottoposti al vuoto dello spazio per un anno e mezzo, bombardati quindi da radiazione cosmica e solare e da sbalzi di temperatura enormi. Una discreta percentuale di essi è sopravvissuta. Ciò ha dimostrato che diversi tipi di batteri e spore potrebbero facilmente sopravvivere anche a lunghi viaggi spaziali, in particolare viaggi su Marte, sia all’interno che all’esterno del veicolo spaziale.
In un terzo esperimento è stato verificato il fenomeno della litopanspermia, ossia il trasferimento di organismi viventi da un pianeta all’altro attraverso corpi rocciosi. Un fenomeno che alcune teorie credono possa essere avvenuto già in passato e possa aver addirittura creato le condizioni favorevoli per la nascita della vita sulla Terra.
Sebbene una dimostrazione del fenomeno richiederebbe migliaia o addirittura milioni di anni di esposizione al vuoto dello spazio, l’esperimento ha comunque dimostrato che diversi organismi, che qui sulla Terra vivono in ambienti estremi, sarebbero capaci di sopravvivere nello spazio, un luogo da sempre considerato ostile per ogni forma di vita.
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