Una squadra di ricercatori della University of North Carolina at Chapel Hill ha analizzato il genoma di un tardigrade, un essere microscopico salito spesso alle cronache per essere conosciuto come l’unico essere vivente a riuscire a sopravvivere nello spazio, ed hanno scoperto che ben il 17,5% dell’intero genoma (più di un sesto) proviene da DNA estraneo.
Secondo Bob Goldstein, docente nel dipartimento di biologia College della UNC e uno degli autori della ricerca, è la prima volta che si scopre che un genoma animale è composto da tanto DNA estraneo.
“Sapevamo che molti animali acquisiscono geni estranei, ma non avevano idea che succedesse questo livello”, dichiara il biologo nella nota pubblica pubblicata sul sito dell’Università.
Lo studio a cui si riferisce è stato pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.
La ricerca si rivela alquanto intrigante in quanto potrebbe essere la testimonianza dell’esistenza di una connessione tra il livello di DNA estraneo in un corpo e la sua capacità di sopravvivere in ambienti estremi.
Secondo gli scienziati, i tardigradi acquisiscono circa 6000 geni estranei principalmente dai batteri ma anche da piante e funghi attraverso un procedimento naturale denominato trasferimento genico orizzontale. In pratica si tratta di vero e proprio scambio di materiale genetico da individuo a individuo, un procedimento che si contrappone al classico scambio ereditario, ossia quello da genitore in figlio.
Molto probabilmente, gli animali che sono in grado di sopravvivere ad ambienti estremi, come i tardigradi, hanno acquisito a livello di evoluzione anche la capacità di prendere geni da altri individui di altre specie per poter resistere ancora meglio alle sollecitazioni esterne. Sempre secondo gli scienziati, il DNA viene inserito nella genoma sempre in modo casuale ma ciò che viene mantenuto è proprio ciò che permetta ai tardigradi di sopravvivere gli alimenti più difficili.
“Con il trasferimento genico orizzontale che diventa sempre più ampiamente accettato e più noto, almeno in alcuni organismi, sta cominciando a cambiare il nostro modo di pensare all’evoluzione, all’eredità di materiale genetico e alla stabilità dei genomi”, dichiara Thomas Boothby, l’altro autore principale della ricerca.
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