Nonostante i progressi nel campo dell’anestesiologia siano stati parecchi negli ultimi decenni, ancora oggi non è del tutto chiaro come faccia il cervello umano a mettere in “pausa” i cinque sensi e poi a riavviarsi letteralmente, riprendendo i suoi ricordi e lo stato originario, alla fine dell’intervento chirurgico.
Un nuovo studio, portato avanti dalla dottor Andrew Hudson, assistente professore di anestesiologia presso la David Geffen School of Medicine alla UCLA, e dai alcuni suoi colleghi, tenta quindi di chiarire i processi che il cervello utilizza per trasferirsi da uno stato di incoscienza ad uno stato di coscienza. Lo studio è stato pubblicato su Proceedings of National Academy of Sciences.

Nonostante appaia del tutto insensibile, il cervello anestetizzato, durante un’operazione chirurgica, sperimenta diversi modelli di attività nel corso della stessa operazione. Per verificare tali processi, il team di ricerca ha sperimentato uno stato anestetico inalando isoflurano in un ratto dopo aver posto diversi elettrodi in varie parti del capo per tenere sotto controllo le attività del cervello. Proprio come si fa con i pazienti sotto i ferri, i ricercatori hanno poi diminuito man mano che il livello di anestetico accorgendosi che i modelli di attività del cervello cambiavano così come cambiava l’attività elettrica.
In quei momenti, l’attività cerebrale saltava spontaneamente da un modello di attività a un altro. Tali “salti” dipendevano dalla quantità di anestetico indotto.

Secondo Hudson, “il recupero dall’anestesia è il risultato dell’anestetico che viene meno, ma anche del cervello che tenta di trovare la via del ritorno attraverso un labirinto di possibili stati di attività in direzione di quelle che permettono l’esperienza cosciente. In parole povere, il cervello si riavvia“. Nel comunicato stampa, Hudson utilizza il termine “reboots“, usato in particolare in campo informatico in relazione al riavvio di un calcolatore.
Uno studio del genere potrebbe essere utile nei campi di ricerca relativi agli stati comatosi o, più in generale, in quegli stati in cui è presente un livello di coscienza anche minimo. Forse, in futuro, potrebbe essere possibile prevedere con maggiore precisione il recupero funzionale da lesioni cerebrali studiando proprio tali “salti” del cervello.
In una visione più generale, lo studio potrebbe essere utile per comprendere, in maniera definitiva, le modalità con le quali il cervello rientra in uno stato di coscienza, come fa per esempio al momento della sveglia o dopo un grave shock.

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