Un video, caricato sul canale di YouTube TED-Ed, esplora la possibilità, invero molto concreta, di astronavi, sonde o veicoli spaziali lanciati nello spazio dall’uomo di dimensioni molto ridotte, così piccoli da poter entrare addirittura in tasca o nel pugno di una mano.
L’autore del video immagina che le astronavi che verranno costruite (si parla di una proiezione temporale di centinaia di anni nel futuro) saranno, per forza di cose, molto ridotte e verranno lanciate in gran numero.
I vantaggi di una modalità di esplorazione del cosmo come questa sono palesi. Innanzitutto i costi, che risulterebbero molto minori rispetto alla costruzione di un enorme astronave à la Enterprise. E poi le possibilità di riuscita in caso di approdo su un corpo astronomico, tipicamente un esopianeta, risulterebbero molto più alte rispetto al tentativo di far atterrare un lander, operazione questa da sempre molto complessa e piena di rischi.

L’autore del video immagina che in futuro sarà cosa comune tentare di far atterrare sui pianeti extrasolari decine o forse centinaia o migliaia di sonde dalla dimensione molto contenuta.
In questo modo, anche se qualche sonda andrà distrutta nel complesso tentativo di approdo, la maggior parte di esse potrà dichiarare riuscita la missione di atterraggio. Ognuna di queste sonde-astronavi avrà ovviamente un costo molto minore rispetto a qualunque altra missione che preveda l’utilizzo di grandi sonde o orbiter o addirittura astronavi.
Flotte di queste micro-astronavi potrebbero essere mandate in giro per il sistema solare, o anche oltre, e potrebbero raccogliere moltissimi dati utili proprio come avviene per le sonde e i satelliti artificiali che circondano il nostro pianeta rilevando ogni tipologia di dato possibile.

In particolare flotte di veicoli spaziali tascabili potrebbero risultare di notevole utilità per la ricerca di vita extraterrestre sui pianeti extrasolari.
Ma non sono tutte rose e fiori: veicoli spaziali così ridotti dovrebbero poter vantare un nuovo tipo di propulsione in quanto non potrebbero di certo trasportare carburante, batterie o altro per convertire energia in spinta motoria. Si parla, dunque, di micropropulsione, un concetto che si servirebbe di forze presenti già in natura come la tensione superficiale e la capillarità. Un esempio sarebbe la Microfluidic Electrospray Propulsion (MEP), testata già dal Jet Propulsion Laboratory della NASA.

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