Uno dei problemi maggiormente rilevanti delle missioni spaziali con equipaggio umano è quello relativo alle forti radiazioni che il nostro corpo non è capace di filtrare quando abbandona il campo magnetico terrestre. Ciò avverrebbe soprattutto per quelle missioni di lungo periodo e ad una distanza relativamente grande dalla Terra, ben oltre la posizione dell’attuale Stazione Spaziale Internazionale in cui gli effetti delle radiazioni spaziali risultano ancora controllabili a causa della vicinanza dei moduli al campo magnetico terrestre che riesce a fungere ancora da scudo protettore.
Un nuovo studio del National Space Biomedical Research Institute della NASA in collaborazione con la Scuola di Medicina della Johns Hopkins University, riguardante gli effetti di un viaggio di lunga durata sul cervello degli astronauti, ha rilevato che questi ultimi potrebbero soffrire di deterioramenti cognitivi, cali di attenzione e tempi di reazione più lenti a seguito rel continuo assorbimento di radiazioni cosmiche per lungo periodo.

Lo studio si basa sugli esperimenti condotti su alcuni ratti esposti a particelle ad alta energia. I topi dovevano toccare un tasto luminoso con la punta del muso per poter analizzare i loro tempi di reazione e gli eventuali cali di attenzione.
Il test è stato preceduto da un periodo di addestramento durante i quali si insegnava ai topi a spingere il pulsante a richiesta. In seguito sono stati portati al Brookhaven National Laboratory a Long Island e sottoposti a radiazioni tramite un un collisore protonico ad alta energia che li bombardava in testa con particelle radioattive di ioni pesanti. In seguito sono stati restituiti alla Johns Hopkins University dove sono stati sottoposti ai test per un periodo di 250 giorni.
Un calo di attenzione si è verificato nel 64% di topi; una quantità che va dal 40 al 45% dei topi sottoposti a radiazioni sviluppava sensibili deficit cognitivi e di attenzione e il 27% circa sviluppava deficit di reazione. Alcuni, nel corso del tempo, recuperavano parzialmente il deficit mentre altri restavano segnati dalla quantità di radiazione che li aveva colpiti. Inoltre è stato rilevato che i topi bombardati con più radiazioni sviluppavano una maggiore quantità di trasportatori per il neurotrasmettitore della dopamina, essenziale per i livelli di attenzione e di reazione.

Lo studio potrebbe essere utile anche per identificare, prima della partenza di eventuali missioni spaziali di lungo periodo, gli individui più suscettibili all’effetto delle radiazioni. In questo caso si potrebbero mitigare gli effetti delle stesse radiazioni tramite accorgimenti di tipo individuale presi prima del viaggio.
Secondo Robert D. Hienz, professore associato di biologia comportamentale alla Johns Hopkins University, gli astronauti all’interno delle loro navi spaziali soffrirebbero in maniera marcata della mancanza del campo magnetico terrestre che comporterebbe un’automatica pericolosa esposizione alle radiazioni.
Un pericolo del genere aumenterebbe naturalmente quando gli astronauti si troverebbero costretti ad uscire al di fuori delle navicelle per compiti di manutenzione della stessa, per esempio. In questo caso sarebbero esposti a forti radiazioni provenienti da brillamenti solari ed eventuali raggi cosmici intergalattici.
Il pericolo si rivelerebbe elevato anche nel caso di missioni umane su Marte, dato che questo pianeta non dispone di un campo magnetico necessario per deviare le radiazioni. Una soluzione potrebbero essere più efficaci protezioni applicate all’area del cranio con schermature maggiormente efficienti.

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